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Resilienti e determinati a reinventarsi e adattarsi, i livignaschi da sempre sfruttano, nel totale rispetto e con la massima cura, il proprio territorio, fonte inesauribile di ingredienti genuini per realizzare piatti gustosi che raccontano la storia unica di una delle eccellenze alpine più apprezzate a livello internazionale.
A Livigno, infatti, c’è stato un tempo in cui, per oltre sei mesi, i rigidi inverni condizionavano la vita di tutti giorni, a partire dalle attività quotidiane fino alle ricette che, ogni giorno, venivano proposte sulle tavole di ogni casa del paese. A 1816 metri i prodotti coltivati con successo nell’orto erano pochi, ma tra questi c’era la rapa bianca, una radice ricca di vitamine in grado di resistere alle fredde temperature montane, i cui semi vengono coltivati in primavera – durante la fase di luna calante – in attesa di vedere i frutti in autunno, pronti per diventare scorte per l’inverno. Proprio per questo, col tempo, è diventato uno dei simboli della cucina del territorio e un ingrediente alla base di numerose ricette della tradizione, che possono essere scoperte nel libro fotografico bilingue Leina da Saor, creato dall’Associazione Cuochi e Pasticceri di Livigno ed edito da Mondadori.
Della rapa non è mai stato sprecato nulla: ogni parte poteva diventare un prezioso ingrediente per realizzare piatti amati da tutti, come le foglie verdi scure – o röicia, in dialetto livignasco – che da sempre vengono usate per preparare l’ inzalata da röicia, condita semplicemente con sale, olio e aceto. Non solo, i livignaschi hanno sempre suddiviso le rape in base alle loro dimensioni, per poterne fare un diverso consumo e dare vita a proposte culinarie differenti: le ra, ovvero le rape più grandi, si mangiavano crude o cotte, mentre le pásole, quelle più piccole, si
lasciavano essiccare in solaio per poi produrre due eccellenze della gastronomia locale, ovvero il pan da carcént e
la lughénia da pásola.
Il Pan da carcént è un pane a ciambella semplice ma al contempo saporito e sostanzioso, ricco di profumi, sapori e soprattutto di storia. Realizzato con pochi ingredienti – ovvero farina bianca, pasta di riporto, lievito, acqua, sale e ovviamente le pásole essiccate che vengono unite all’impasto cotte e macinate – è uno dei prodotti di panificazione più richiesti da cittadini e turisti e per questo realizzato da numerose botteghe locali. Tra queste c’è la Goloseria Galli, un panificio e pasticceria ai piedi del versante del Mottolino che produce il pan da carcént con pásole a km0, che vengono coltivate nel campo di rape di proprietà.
La Lughénia da pásola è invece uno degli insaccati più tipici del posto: un salame realizzato con pancetta, lardo, vino bianco, aglio, pepe, noce moscata, zucchero, sale e, naturalmente, le pásole che è disponibile in diversi negozi di prodotti tipici presenti sul territorio, come per esempio il Beltram Happy Farm, una macelleria a gestione famigliare dell’Agriturismo Federia che si occupa della macellazione e delle produzione di salumi tipici.
Questi e molte altre ricette tradizionali non solo sono disponibili nel Leina da Saor – che contiene 100 ricette tradizionali, 37 rivisitate e oltre 250 fotografie – ma anche nel TAS’T – Livigno Native Food, un progetto a cura dell’Associazione Cuochi e Pasticceri di Livigno che vuole valorizzare la ricca tradizione gastronomica.
In alcuni alberghi – durante la colazione o durante la giornata come tasting – e in selezionati appartamenti, sono presenti dei corner dove gli ospiti possono assaggiare prodotti 100% livignaschi e “made in Livigno”, realizzati da produttori locali con materie prime di alta qualità a km0 o completamente italiane.
Anche passeggiando per le vie del paese, si può scoprire invece come gli chef dei ristoranti locali utilizzano la rapa nei loro menù, valorizzando la tradizione e sfruttando i segreti raccontati dagli agricoltori.
Agostino Cusini, Chef de Cuisine presso il ristorante Tagliede, membro dell’Associazione Cuochi e Pasticceri di Livigno, racconta che: “Un tempo gli orti di rapa erano numerosissimi e non venivano mai bagnati, sia perché venivano realizzati in zone particolari dove l’umidità bastava a nutrire il terreno, sia perché venivano irrigati direttamente dalle piogge e questo bastava per far crescere questa fantastica verdura. Una curiosità è invece legata alle rape grandi: alcune di queste, infatti, dopo averle raccolte, venivano riposte in una cantina al buio fino alla primavera successiva quando, dopo aver germogliato grazie all’umidità, venivano ripiantate nell’orto per far crescere il fogliame, che poteva raggiungere l’altezza di 1 metro. L’autunno successivo, questo veniva poi raccolto e riposto in dei sacchi di juta, che si scuotevano e, una volta setacciato, si ricavavano appunto i semi per proseguire la coltivazione.
Un altro ricordo d’infanzia è il sapore indimenticabile che sprigionava quando la si assaporava ancora cruda e grattugiata subito dopo averla raccolta, proprio in autunno. Io adesso, invece, la utilizzo nel mio ristorante quando propongo dei piatti fuori menù. Ad esempio, la uso al posto della patata nella minestra di latte o come condimento del bollito di pecora o del bollito misto ed è sicuramente il modo in cui si può trovare più facilmente ai giorni nostri.” Quella di Livigno è una cultura culinaria che viene tramandata di generazione in generazione con orgoglio, da assaporare in ogni momento della giornata per scoprire il gusto delle tradizioni livignasche.
Per maggiori informazioni, consultare il sito: https://www.livigno.eu/
Written by: Elena Botta