Giallo, rosso, blu, verde e nero: sono i colori dei cerchi olimpici, quelli che incorniciano anche il logo del Panathlon, ciascuno dei quali rappresenta un singolo continente del mondo.
Ma per celebrare il 70^ anniversario del club di Sondrio ogni tonalità ha assunto un valore ancora più intenso: quello dell’inclusione, della determinazione, della libertà, della fratellanza e della speranza. Valori che, come ha ricordato il Presidente Nicola Tomasi, “non invecchiano mai”.
Non a caso ciascuno di questi ideali sono stati raccontati attraverso storie sportive incredibili, che hanno lasciato un segno indelebile e un messaggio importante nella storia.
A farlo ci ha pensato il socio Gianfranco Busi attraverso il monologo “L’essenza nei colori”, esibendosi davanti ai tanti membri del club che si sono ritrovati per l’occasione presso il ristorante “La Moia” di Albosaggia, proprio per celebrare i 70 anni del sodalizio in concomitanza con la festa degli auguri, uno degli appuntamenti più sentiti del club.
Tanti gli episodi raccontati che hanno messo in evidenza come i veri principi dello sport – ovvero inclusione, determinazione, libertà, fratellanza e speranza – resistono anche alla forza del tempo: uno su tutti lo storico podio nei 200 metri dei velocisti afroamericani Tommy Smith e John Carlos, atleti che durante la premiazione portarono in alto la loro battaglia per i diritti civili dei neri alzando un pugno chiuso; un gesto che causò loro minacce ed intimidazioni al loro rientro in USA, ma che successivamente portò loro alla consacrazione nella comunità afroamericana e nei decenni a seguire ricevettero premi e riconoscimenti per quanto fatto. Una storia forse meno nota, ma altrettanto affascinante, è stata quella di Roberto Carcelen, il peruviano che, da impiegato Microsoft, a 40 anni si ritrovò portabandiera ai giochi di Vancouver dopo essersi innamorato degli sci stretti: arrivò penultimo, ma in patria fu considerato un eroe. 4 anni più tardi ci riprovò nonostante fosse già infortunato con due costole rotte e tagliò il traguardo con la bandiera del Perù in mano. Fu ultimo, ma il primo ad essere omaggiato al traguardo dal vincitore Dario Cologna che lo stava aspettando. La determinazione del peruviano lo portò anche a fondare un’associazione a scopo benefico basata sul motto “Learn, earn and returne”, “Ovvero studia, guadagna e restituisci”.
E poi ancora la toccante storia della nuotatrice siriana Yusra Mardini, piccola stella della disciplina che a soli 14 anni partecipò per la prima volta ai mondiali di nuoto. Ma ad interrompere i suoi sogni ci pensò la guerra: Yusra fu costretta a fuggire e con la sorella si imbarcò su un gommone verso la Grecia, ma prima di raggiungere l’isola di Lesbo il canotto subì un’avaria al motore. Solo le due sorelle e altri due uomini erano in grado di nuotare e si gettarono in mare aperto. Nuotarono per 3 ore e mezza trascinando il gommone, raggiungendo incredibilmente la terraferma. Ora Yursa è rifugiata in Germania, dove nel 2016 è riuscita a conquistare il pass olimpico per partecipare ai giochi di Rio.
Nei 100 farfalla non fece il risultato, ma diventò comunque un simbolo per quanto aveva fatto: seppur senza medaglia, riprendendo le parole di Busi “era lei la vera crisalide.”
Come poi non citare le olimpiadi di Berlino 1936 con la sfida tra il tedesco Luz Long e lo statunintense Jessie Owens: entrambi favoriti, il primo era però in testa alle qualifiche per via di due salti nulli dell’americano.
Long compì un gesto di vero fair play: posò un fazzoletto bianco per consentire a Owens di staccare senza toccare la pedana, e quest’ultimo in finale riuscì a vincere con il record olimpico di 8.06m. Tra i due nacque un’amicizia così profonda che, una volta scoppiata la seconda Guerra Mondiale, Long scrisse, prima di morire sul fronte, una toccante lettera all’amico chiedendogli di portare il messaggio a suo figlio che “nemmeno la guerra può stroncare il legame tra due persone”.
E poi ancora il racconto della speranza con il simbolo di una nuova Africa rappresentato dalle due atlete Derartu Tulu – nera ed etiope – ed Elana Meyer – bianca e sudafricana – che si tennero per mano dopo essere arrivate prima e seconda nella finale olimpica dei 10000 metri nel 1992.
Una serata ricca e intensa di spunti, dove il messaggio è stato chiaro: “Possiamo essere umani solo con l’umanità degli altri”.
La serata è proseguita con la consueta cena natalizia, nel corso della quale – tra chiacchere e brindisi – il presidente Tomasi ha ricordato che non solo il club ha una storia profonda, essendo stato il sesto al mondo ad essere fondato, ma che “se è riuscito a mantenere nel corso di tutti questi anni una grande vivacità è solo grazie ai suoi soci” che, nel tempo, si sono contraddistinti per far riconoscere il club sia a livello di area che di distretto Italia. Da qui l’omaggio a uno dei veterani del gruppo, Sandro Nava, che ha festeggiato ben 50 anni di iscrizione al club. Per questo importante traguardo il Panathlon International ha realizzato una spilla speciale per onorare tutto il lavoro svolto in questi anni: “Sinceramente non mi aspettavo di essere premiato – ha confessato il socio – perché non pensavo di aver raggiunto già questo traguardo. Il mio gesto più bello? L’aver realizzato uno striscione in memoria di Diego Pini subito dopo la sua scomparsa e che rimase appeso un anno: nonostante fosse un mio acerrimo rivale nel basket, era un grande amico.”
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