Lavoro e Imprese

Ordinanza della Regione Lombardia contro il lavoro all’aperto sotto il caldo estremo: un primo passo, ma ancora troppo timido

today2 Luglio 2025 146

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Ondata di Caldo 800x450

Dal 3 luglio scatta il divieto di lavoro all’aperto tra le 12.30 e le 16.00 nei giorni di allerta caldo. Ma fonderie, appalti pubblici e tutele restano fuori. La sicurezza sul lavoro non può fermarsi a metà.


Ci sono volute morti sul lavoro, collassi, infortuni e solitudini ignorate per ottenere una reazione istituzionale. Ma ora, qualcosa si muove. La Regione Lombardia ha emesso un’ordinanza che vieta, a partire da domani, le attività lavorative all’aperto tra le 12.30 e le 16.00 nei giorni in cui la mappa del rischio climatico segnala livelli di caldo estremo.

Il provvedimento si applica a settori particolarmente esposti come cantieri edili, cave, aziende agricole e florovivaistiche, e rappresenta un primo riconoscimento formale di quanto il cambiamento climatico stia già impattando sulla salute dei lavoratori.

Ma è abbastanza? No. E ce ne accorgiamo subito.


Una misura parziale che lascia fuori troppi settori

Mentre si vieta di lavorare al sole in determinate fasce orarie, restano esclusi dal provvedimento tutti gli ambienti chiusi ma roventi, come fonderie, reparti di stampaggio, presse industriali, luoghi dove ogni estate si lavora letteralmente in condizioni infernali.

Ancora più grave è la totale esclusione degli appalti delle Pubbliche Amministrazioni: nessuna tutela prevista per lavoratori e lavoratrici impiegati in opere pubbliche, come se la PA potesse permettersi una deroga implicita alla sicurezza.


Il caldo non ha orari: fascia 12.30-16.00 troppo limitata

L’ordinanza della Regione Lombardia individua una fascia oraria di divieto troppo ristretta. Chi vive e lavora nelle province lombarde sa che il caldo torrido inizia prima di mezzogiorno e continua ben oltre le 16.00.
Il rischio di colpo di calore e disidratazione non finisce con lo scoccare dell’orologio: serve una valutazione scientifica più accurata e una copertura oraria più ampia.


Le parole non bastano: servono controlli, tutele e ammortizzatori veri

Come ribadito anche dalla CGIL, un’ordinanza – da sola – non protegge nessuno, se non è accompagnata da:

  • Controlli reali e frequenti da parte di ATS e Ispettorati del Lavoro

  • Strumenti di sostegno al reddito per chi non può lavorare in sicurezza

  • Misure specifiche per chi ha contratti precari, giornalieri o lavora nei settori più fragili come agricoltura e florovivaismo

E proprio qui si annida il nodo principale: la ricattabilità dei lavoratori nelle piccole imprese, spesso non sindacalizzate, dove la pressione a lavorare “nonostante tutto” è fortissima. Senza controlli, il rischio è altissimo: l’ordinanza può diventare l’ennesimo foglio inutile.


La vera risposta: intervento strutturale e riduzione dell’orario a parità di salario

Il cambiamento climatico è già realtà. Non possiamo rispondere con misure temporanee o “emergenze” dichiarate a intermittenza. Serve una normativa nazionale permanente, che:

  • Scatti automaticamente al superamento di soglie di temperatura e umidità

  • Preveda riduzioni dell’orario di lavoro a parità di salario nei giorni più critici

  • Estenda le tutele a tutti i settori, pubblici e privati, indipendentemente dal luogo di lavoro

Perché un Paese civile non aspetta la prossima vittima per agire. E la sicurezza non può essere una concessione stagionale: è un diritto costituzionale. Punto.







Scritto da: Elena Botta

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