Qui di seguito il testo del discorso del Presidente della Repubblica.
In Italia “vi è una regione che comprende un quinto della sua popolazione, che si estende per un terzo della sua superficie e in cui la vita di tutti i ceti e categorie si svolge in condizioni di particolare durezza e di particolare disagio in confronto col rimanente del Paese. Questa regione, che non ha contorni geografici ben definiti, ma si estende ampiamente nella cerchia alpina, si allunga sulle dorsali appenniniche e si ritrova nelle isole maggiori, risulta dall’insieme delle nostre zone montane”.
Questa è la voce di Michele Gortani, deputato all’Assemblea Costituente, eletto in Friuli, che il 13 maggio del ’47 si rivolgeva all’Assemblea con queste parole.
Presidente Bussone,
Signore e Signori rappresentanti dell’Unione Nazionale Comuni Comunità Enti montani,
era all’Italia che Gortani si rivolgeva, all’Italia che si rinnovava. E, quell’insigne geologo, invocava che finalmente fosse l’ora che l’Italia si rivolgesse ai montanari -come disse – “con amore”.
E proponeva, ancora una volta, la questione della montagna come “questione nazionale”.
Fu con il voto dell’Assemblea Costituente, su un emendamento presentato da Gortani come primo firmatario, che la “causa montana” trovava posto all’art.44 – che lei ha ricordato poc’anzi – della nostra Costituzione.
A lungo, nella prima metà del ‘900, la montagna era stata intesa come giacimento di risorse per le pianure e le città, con l’utilizzo delle fonti energetiche, delle disponibilità idriche per l’irrigazione e l’industria, mentre la questione delle “Terre Alte” veniva ridotta a questione di gestione del patrimonio agro-silvo-pastorale.
Una visione davvero riduttiva.
Impulso che si riaffaccia periodicamente, insieme, oggi, alla tentazione di considerare la montagna un immenso parco giochi a consumo dei flussi turistici.
Ma la regione di montagna è fatta di persone.
Con la Repubblica, all’Assemblea Costituente la parola veniva restituita alle popolazioni alpine e delle nostre altre montagne.
A 75 anni da quella decisione, a 70 anni dall’istituzione della vostra preziosa Unione, è giusto riflettere sui passi compiuti e su quelli da compiere, per ribadire, come lei ha detto, poc’anzi, Presidente, “nuova fedeltà alla Carta” e ai suoi principi.
La montagna non è solo l’evidente spazio di raccolta di beni del Paese, ma, con i suoi 3.850 Comuni, rappresenta un decisivo patrimonio di vita civica.
Tra pochi giorni – poc’anzi lei lo ricordava, il 19 dicembre, appunto – ricorreranno ottant’anni dalla Dichiarazione dei rappresentanti delle popolazioni alpine – la Carta di Chivasso – che riunì, in quella cittadina piemontese, in quel ‘43, esponenti della Resistenza che, in maniera lungimirante, optarono, anzitempo, per la scelta repubblicana.
Lasciamo, per un attimo, la parola a quel documento che, nel pieno della lotta per l’indipendenza della Patria e la libertà dal nazifascismo, chiedeva l’autonomia per le vallate alpine affinché potessero costituirsi in Comunità politico-amministrative; affermava il diritto di usare la lingua locale accanto a quella italiana; sollecitava un’organizzazione tributaria in grado di favorire lo sviluppo dell’economia montana e combattere, così, lo spopolamento.
Ed è a questo patrimonio di valori che occorre guardare, ai suoi abitanti che, in questi 77 anni di vita democratica, si sono battuti per affermare gli elementari principi costituzionali di eguaglianza fra i cittadini, alimentandola con l’esperienza dei Consigli di Valle, espressione dell’identità dei territori, della solidarietà tra i Comuni.
Lei, Presidente, poc’anzi ha ricordato le prime esperienze, come quella della Valsesia, orgoglioso momento di autogoverno.
A Rassa, in Valsesia, il suo predecessore, nel 2016, osservò, con piena ragione, come il compito di curare le zone montane – prezioso anche per l’equilibrio dell’intero sistema nazionale – non poteva ricadere esclusivamente sulle spalle di coloro che vivono in quei territori.
È una posizione che va condivisa.
Si tratta di un’osservazione di buon senso che si aggiunge al dovere di applicare, a tutti i territori, il principio di eguaglianza dell’articolo 3 della nostra Costituzione.
Come è naturale, nuove sfide si aggiungono, imposte, oggi, dai mutamenti climatici, dalla struttura demografica del Paese; sfide che rilanciano la questione della tutela ambientale come centrale per la sopravvivenza e il progresso di tante parti d’Italia e dell’intero Paese. Le alluvioni continuano a rammentarcelo, con lutti e distruzioni.
A questo scopo, è lecito interrogarsi su quali debbano essere gli strumenti più opportuni per affrontarle e, insieme, per fornire risposta alle possibilità di inverare il dettato costituzionale circa la specificità riconosciuta in Costituzione alla montagna.
Una peculiarità suffragata anche da numerose recenti sentenze della Corte costituzionale, che indicano come la condizione di svantaggio della montagna italiana giustifichi ampiamente misure a suo favore.
È, dunque, auspicabile che le iniziative legislative avviate dal Governo – e da quello che lo ha preceduto – vengano prese in esame e in considerazione dal Parlamento, in attuazione della norma costituzionale.
È, del resto, dai tempi del Ministro delle finanze Ezio Vanoni – che lei, poc’anzi, ricordava, Presidente – che la questione della fiscalità per le zone montane è stata affermata in linea di principio e, tuttavia, ha trovato difficoltà applicative.
Le finalità sono state individuate in modo puntuale: si tratta di fruizione di diritti; si tratta, nell’interesse nazionale, di predisporre incentivi utili a impedire un ulteriore spopolamento di aree sensibili.
È certamente una priorità nazionale rilanciare la Strategia per la Montagna Italiana.
Sono i diritti che lei, poc’anzi, ricordava, Presidente: la sanità, la scuola, il superamento del divario digitale – fondamentale per rendere operative opportunità occupazionali -, l’accessibilità ai servizi e i trasporti pubblici, a partire dalla rete ferroviaria, nelle aree interne tanto carente, quando non addirittura sottratta.
Le Regioni sono state chiamate a essere attrici in questo processo. E si tratta di far sì che i protagonisti siano i territori e le popolazioni montane, coinvolte, insieme alle loro istituzioni, nell’eliminazione degli squilibri socio-economici con il resto del territorio nazionale. Istituzioni impegnate nella missione di difesa del suolo e della protezione della natura, secondo quanto dettava l’articolo 2 della legge 1102 del ‘71 che, superando l’esperienza dei consorzi di Comuni, istituiva le Comunità Montane, affidando loro l’elaborazione dei propri piani di sviluppo.
Nuto Revelli, il cantore del “mondo dei vinti”, riassumeva in tre parole i valori che la montagna e le sue genti proponevano: libertà; confini; solidarietà.
Spirito di libertà, che si traduceva nell’insofferenza verso ogni prepotenza e verso i confini, naturali o artificiali o sociali che fossero.
Spirito di solidarietà. Quello che ha sempre animato le genti delle Terre Alte fra di loro – fossero da un lato o dall’altro della valle o del monte – o verso l’estraneo. Perché, laddove la vita è più dura, si fanno strada maggiormente i valori più autentici della persona.
La nostra Costituzione ne è specchio fedele e, per questo, la Repubblica è riconoscente verso le genti di montagna. E vi chiedo di farvi interpreti e di trasmettere questo sentimento.
In tutti questi anni l’UNCEM è stata antesignana e fedele portavoce di questa grande questione.
Vi rivolgo gli auguri migliori per la prosecuzione della vostra attività, che esprime la consapevolezza del valore delle autonomie plurali in Italia.
Auguri.