I saluti romani come la «chiamata del
presente» possono essere sanzionati sia sulla base della legge
Scelba, se quei gesti, per le modalità e il contesto, integrano
«il pericolo concreto di riorganizzazione del partito fascista»,
sia sulla base del decreto Mancino, che punisce «l’incitamento
alla violenza per motivi discriminatori», tenendo conto che «il
Partito Fascista rientra tra quelle organizzazioni» che hanno
tra i «propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla
violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi».
Così Piero Basilone, attuale procuratore a Sondrio ed ex pm
milanese che si è occupato di tante indagini a Milano a carico
di gruppi di estrema destra, compreso il processo approdato oggi
alle Sezioni Unite della Cassazione, interpreta la sentenza
della Suprema Corte seppur sulla base, allo stato, delle
«informazioni provvisorie» fornite dai giudici.
Se i «gesti fascisti», come la ‘chiamata del presentè e il
saluto romano, vengono compiuti in un contesto pubblico, «con
ritualità, durata e da un numero di persone elevato», spiega
Basilone, si può configurare quel «pericolo di ricostituzione
del partito fascista”. Diverso,
dunque, è se a fare il saluto romano sono «2 o poche persone, in
un contesto raccolto, invece che 100 o 1000, con ritualità
solenni e con una manifestazione che si sviluppa per le vie
cittadine». Nel primo caso, probabilmente, non si configura quel
pericolo di cui parla la norma.
Dall’altro lato, sottolinea Basilone, la Cassazione
stabilisce anche che, se manca quel pericolo, si può applicare
l’articolo 2 della legge Mancino del ’93 che punisce «la
discriminazione» e «impedisce la diffusione di idee che a quella
si ispirano» e che «siano esibiti pubblicamente simboli e gesti
di associazioni e movimenti che a quelle idee si ispirano». |